Con il termine zucchero si indicano in modo generico una serie di composti organici costituiti da tre molecole, ovvero Carbonio, Idrogeno e Ossigeno: in base al numero si distinguono i Monosaccaridi (formati da una sola molecola, definiti anche zuccheri semplici), gli Oligosaccaridi e i Polisaccaridi (zuccheri composti, che presentano catene complesse di molecole). Il comune zucchero da tavola prende il nome di saccarosio, un composto organico della famiglia dei glucidi disaccaridi, ovvero con molecola chimicamente formata da due monosaccaridi, più precisamente glucosio e fruttosio, legati tra loro da un legame glicosidico. Questo prodotto si trova largamente anche in natura, sia sotto forma di cristalli solidi che disciolto in soluzione (è presente anche nella frutta e nel miele); in genere, comunque, viene estratto da piante di barbabietola da zucchero o da canna di zucchero, per essere poi lavorato industrialmente e confezionato.
Dal punto di vista tecnico, della pianta Saccharum officinarum (la canna) si utilizzano solo i fusti maturi, da cui si estrae un liquido detto “sugo”, fluido e di colore bruno-scuro, mentre gli scarti sono utilizzati in processi industriali o come concime; nel caso della barbabietola, invece, si lavora il fittone della pianta, che viene sottoposto a una serie di processi fino alla “diffusione”, ovvero un lavaggio ad acqua molto calda, che genera un sugo di colore bruno, purificato con calce e di anidride carbonica, e successivamente decolorato e concentrato; dalla centrifugazione si ottiene lo zucchero grezzo, che eventualmente viene raffinato e assume il tradizionale colore bianco.
Ci sono differenze di produzione anche a seconda della zona di estrazione: il saccarosio infatti viene ricavato dalla canna da zucchero nei paesi caldi (come Cina, Tailandia, Brasile e India), mentre la barbabietola è utilizzata nei paesi temperati (Giappone, Stati Uniti ed Europa). Secondo le stime ufficiali, il consumo annuo pro capite medio in Europa raggiunge circa i 32 chilogrammi, mentre la media italiana è più bassa e si attesta a 24 chili a testa.
Lo zucchero è parte della dieta umana sin dall’antichità: secondo alcuni esperti, già cinquemila anni prima di Cristo in zone della Polinesia si produceva un succo dolce derivato dalla canna da zucchero, esportato anche in Cina e India; tracce di una lavorazione simile del X secolo a.C. circa sono riscontrare anche in America Latina. In Europa, la scoperta si deve ai Persiani di Dario intorno al 500 a.C., che lo ritenevano un alimento dalle notevoli capacità energetiche, mentre Alessandro Magno nel IV secolo a.C. racconta di un miele “che non necessita di api”; furono però gli Arabi ad ampliare la produzione di zucchero ed estenderne la conoscenza anche alle coste italiane. Ciò nonostante, tuttavia, questo prodotto restava nel novero delle spezie pregiate (e dunque molto care), con produzione limitata; bisognerà attendere la scoperta dell’America e la diffusione della coltivazione della canna da zucchero in quegli accoglienti territori (che ancora oggi ne sono produttori mondiali), che ampliò la quantità e il traffico di zucchero. Più o meno nello stesso periodo, nella seconda metà del Sedicesimo secolo, l’agronomo francese Olivier de Serres scoprì le qualità zuccherine della comune barbabietola sottoposta a cottura; la sua intuizione restò però senza applicazione concreta, almeno fino al Periodo Napoleonico, quando il blocco alle importazioni rese impossibile l’approvvigionamento di canna da zucchero e diede il via alla ricerca di alternative. Nel frattempo, poi, in Germania il chimico Andreas Sigismund Marggraf si era concentrato proprio sulle barbabietole, e il suo allievo Franz Karl Achard fu promotore del primo zuccherificio della storia, fondato nel 1802 in Slesia; la Francia seguì l’esempio, sotto la spinta di Napoleone I, e il procedimento Achard fu perfezionato in quello che conosciamo ancora oggi.
Come detto, lo zucchero più frequentemente utilizzato per condire alimenti è il saccarosio, che presenta una distinzione di base riguardo la sua origine, ovvero la materia da cui si procede con l’estrazione; le più frequenti sono la canna da zucchero o la barbabietola da zucchero, ma si possono trovare, seppur più rari, anche zucchero d’acero, zucchero di palma e zucchero di cocco. In commercio, esistono differenti varietà di saccarosio, tra cui lo zucchero agglomerato o zolletta (forma che viene attribuita al prodotto ancora umido e successivamente essiccato); lo zucchero macinato e setacciato (da cui derivano lo zucchero semolato e quello più fine, denominato zucchero a velo); gli zuccheri speciali, come gli sciroppi, lo zucchero candito e lo zucchero istantaneo.
I processi di lavorazione determinano poi la produzione di zucchero raffinato (di colore bianco, comunemente utilizzato: attraversa vari passaggi fino al raggiungimento di granelli fini e brillanti, e può contenere additivi), zucchero biologico (che non presenta additivi chimici), zucchero integrale di canna (non è né raffinato né sbiancato), zucchero grezzo di canna (raffinato, ma poco lavorato e contraddistinto da un colore bruno naturale, con cristalli grandi e scuri).
Esistono poi tanti altri composti che possono essere identificati come “zuccheri”, e che in alcuni casi rappresentano delle alternative al saccarosio. Il più famoso è il fruttosio, prodotto naturale presente nella frutta e in alcune piante, che esalta soprattutto il sapore dei cibi freddi e possiede un potere dolcificante superiore al saccarosio; il glucosio è lo zucchero più diffuso in natura, prodotto per utilizzo alimentare solo nell’ultimo secolo, ma risulta ancora difficile da trovare in commercio; la melassa, invece, si ottiene attraverso la cristallizzazione dello zucchero e ha l’aspetto di un fluido di colore ambrato; lo sciroppo d’acero è liquido usato come dolcificante naturale in alternativa allo zucchero; l’aspartame è invece un prodotto chimico, formato dall’unione di due amminoacidi, acido aspartico e fenilalanina, dal forte potere dolcificante e usato prettamente in processi industriali.
Lo zucchero viene impiegato prevalentemente per le sue proprietà dolcificanti, riscontrabili in ogni preparato e ricetta dolce, per l’appunto, oltre che per rendere più gradevole il gusto di bevande come tè, caffè o premute di agrumi. In pasticceria, oltre al comune saccarosio è frequente l’utilizzo di altri tipi di zuccheri, come lo sciroppo di glucosio, il fruttosio, lo zucchero invertito, per sfruttarne alcune proprietà specifiche, come il potere cristallizzante o anticongelante. Lo zucchero a velo, invece, serve principalmente per guarnire e decorare creazioni come torte o creme, spolverato direttamente sul prodotto finito.
A prescindere dalla tipologia, gli zuccheri possiedono una serie di proprietà comuni: la prima, e più evidente, è il potere dolcificante, ma ad esempio danno anche struttura, perché influenzano la formazione del glutine, la coagulazione delle proteine dell’uovo e la gelatinizzazione degli amidi (motivo per il quale è fondamentale rispettare le quantità previste nelle ricette di preparazione di dolci), formano cristalli, assorbono umidità. Inoltre, quando sottoposti a calore diretto si avvia la reazione di Maillard, ovvero il processo che consente la doratura superficiale e provoca la caramellizzazione.
Le differenze nutritive degli zuccheri sono svariate: dal punto di vista dell’indice glicemico, ad esempio, il dibattuto saccarosio ha un apporto inferiore rispetto al glucosio, con un valore di 80 contro i 100 dell’altra tipologia. Inoltre, lo zucchero comune è un cibo altamente energetico e di facile digeribilità, oltre a rendere più golosi e appetibili gli alimenti ai quali viene aggiunto.
Il saccarosio è inoltre immediatamente assimilabile e apporta circa 4 chilocalorie per grammo, e così pure il fruttosio (400 kcal per porzione di 100 grammi), mentre invece melassa e sciroppo d’acero sono meno calorici (all’incirca 235 kcal per 100 grammi). In alcuni soggetti può verificarsi una intolleranza alimentare al saccarosio, causata principalmente dalla carenza dell’enzima invertasi (detto anche saccarasi), che è il responsabile della scissione del saccarosio in glucosio e fruttosio.
Tuttavia, e visto anche il largo impiego in campo industriale, rischiamo di consumare quantità eccessive di questo composto, esponendoci al rischio di carie dentarie, obesità e pericoli per la salute come il diabete, danni cardiovascolari e iperglicemia, così come riconosciuto anche dalla Organizzazione mondiale della sanità. La stessa organizzazione consiglia di non aggiungere ulteriore zucchero ai cibi che già ne siano forniti, seppur di tipologia diversa, o che contengono carboidrati, come pane, pasta, latte e frutta. Quando non immediatamente utilizzati come fonte di energia, gli zuccheri in eccesso sono convertiti in glicogeno, che si deposita nelle cellule del fegato e dei muscoli scheletrici in vista di una eventuale e necessaria ritrasformazione in glucosio.
Quanto detto comunque non significa eliminare del tutto gli zuccheri dalla nostra dieta: sarebbe quasi impossibile e oltretutto dannoso, perché appunto costituiscono il carburante che viene immagazzinato o bruciato da parte di ogni organo e muscolo del nostro corpo; meglio allora moderare il consumo seguendo una sana alimentazione, limitando l’assunzione complessiva di zuccheri semplici al 10% delle calorie che assumiamo ogni giorno, oppure sfruttare le possibili alternative al saccarosio come dolcificante, sia naturali che realizzate sinteticamente; la principale è senz’altro il miele, già scoperto sin dalla preistoria umana, insieme agli sciroppi naturali descritti in precedenza, ricavati da alberi, cereali e frutta; naturale e ipocalorica è la stevia (estratta dalla omonima pianta tipica del Sudamerica), mentre tra quelli di sintesi citiamo sucralosio, xilitolo e sorbitolo (tutti di origine naturale e adatti per i soggetti diabetici), e infine l’acesulfame e l’aspartame, che sono invece di origine completamente artificiale.
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